Con Franco Pesaresi, Direttore dell’Azienda Servizi alla Persona “Ambito 9” di Jesi, abbiamo parlato di governance dell’integrazione socio-sanitaria cercando, come ci ha suggerito, di stare con i piedi per terra.

In Italia la formula preferita è quella dell’Accordo tra Comuni e Asl. Non è l’unica ipotesi, tuttavia la soluzione migliore è quella di “fare insieme l’integrazione socio-sanitaria” ma, attenzione, non basta un semplice coordinamento: serve un’integrazione piena che garantisca non solo di mettere insieme le risorse ma anche di offrire continuità assistenziale.

Come? La strada è segnata, secondo Pesaresi, da 4 passi e un super bonus:

  • la pianificazione locale unitaria che significa creare insieme un piano identico;
  • ci deve essere coincidenza territoriale tra distretto e ambito sociale (questo è ormai un indicatore di quanto il tema dell’integrazione socio-sanitaria sia prioritaria a livello regionale);
  • gli accordi tra Asl e Comuni devono essere analitici e puntuali;
  • le regioni devono investire per motivare.

Il super bonus è la gestione associata dei servizi che è “uno strumento importante per confrontarsi da pari con la sanità”.

Gli strumenti operativi per la presa in carico integrata sono tre e, anche in questo caso, Pesaresi ha lanciato anche un superbonus:

  • la valutazione dei bisogni deve essere integrata quindi deve essere realizzata da operatori sia sociali comunali che sanitari. Anche i Comuni, in questi processi, devono avere capacità decisionali e quindi risorse;
  • serve un case manager che avrà il compito di coordinare gli interventi;
  • è indispensabile un unico sistema informativo a cui possano accedere gli operatori delle Asl che quelli dei comuni.

Il super bonus, in questo caso, è il budget di salute o budget di cura: uno strumento non indispensabile per far funzionare l’integrazione socio-sanitaria ma un modo per fornire prestazioni integrate.

“Proviamo a far diventare queste sperimentazioni attività ordinarie”.